Acidità cerebrale in panico, schizofrenia e disturbo bipolare

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 16 dicembre 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO E DISCUSSIONE]

 

La pubblicazione su Neuropsychopharmacology di nuovi dati che associano a disturbi mentali l’acidità cerebrale, cioè un pH più basso della norma, ha suggerito un aggiornamento su questo tema, così presentato la scorsa settimana: “Sia la possibilità di un ruolo causale, innescante o scatenante, come nel caso del disturbo di panico o sintomi da cosiddetta somatizzazione dell’ansia, sia la possibilità di un rilevante esito fisiopatologico dei grandi disturbi psichiatrici con sintomatologia psicotica, quali la schizofrenia e il disturbo bipolare, sono stati presi in considerazione per i bassi livelli di pH cerebrale in un’articolata discussione che ha avuto luogo fra membri della nostra società scientifica. La suscettibilità individuale di alcune persone alle piccole variazioni dell’equilibrio acido-base del cervello, così come la possibilità di scatenare in animali da esperimento reazioni di panico con l’iniezione di CO2 nell’amigdala, sono note da tempo, ma a queste nozioni si sono aggiunti anche i rilievi autoptici di pH cerebrale più acido nei pazienti affetti da disturbo bipolare e schizofrenia. Si è perciò deciso un approfondimento di quanto emerso dagli studi più recenti…”[1].

Già nei decenni passati sono state pubblicate osservazioni autoptiche in decine di cervelli del rilievo di un pH più basso nei pazienti affetti da psicosi schizofrenica e varie forme di disturbo bipolare, e numerosi studi hanno registrato l’elevata probabilità di scatenare attacchi di panico facendo respirare aria satura di CO2 a persone predisposte. Altri studi avevano registrato nel cervello delle persone diagnosticate di disturbo da attacchi di panico livelli più elevati di lattato, una molecola acida costantemente generata e consumata dall’intenso metabolismo cerebrale che richiede un elevato apporto energetico.

L’interpretazione di tali dati si è rivelata difficile, e sono stati avanzati molti dubbi circa l’origine dell’abbassamento del pH dalla fisiopatologia dei disturbi. Fra i fattori che sono stati presi in considerazione vi sono l’uso di psicofarmaci e le cause della morte per i cervelli studiati in autopsia. Infatti, in tutte le circostanze in cui il decesso sopraggiunge dopo un lungo periodo di sofferenza dell’organismo, come accade anche per l’età estremamente avanzata, si determinano bassi livelli di ossigeno che inducono cambiamenti metabolici in tutti i tessuti, con la tendenza a preferire le vie biochimiche cosiddette anaerobiche, ossia indipendenti dall’O2 cellulare. Ricordiamo che il prodotto più importante della glicolisi[2] è l’acido piruvico che in condizioni anaerobiche è trasformato in acido lattico e in presenza di ossigeno può entrare nel ciclo aerobico della respirazione. La prevalenza delle reazioni anaerobiche può far aumentare i livelli di lattato e così spiegare il pH più basso del cervello di persone giunte a morte lentamente.

Principalmente questa osservazione ha indotto Tsuyoshi Miyakawa e colleghi della Fujita Health University, in Giappone, all’analisi di 10 set di dati riguardanti oltre 400 cervelli di pazienti affetti da schizofrenia o disturbo bipolare, sottoposti ad esame necroscopico e studiati per il loro livello di pH. Per verificare la fondatezza delle teorie sulla connessione fra l’acidità e la psicopatologia, i ricercatori hanno considerato come potenziali fattori interferenti trattamenti protratti per anni con farmaci antipsicotici e l’età in cui era avvenuto il decesso. Anche sottoponendo a correzione i dati in base a questi fattori, i livelli di pH dell’encefalo delle persone affette da questa gravi forme di psicopatologia sono risultati più bassi.

I ricercatori della Fujita hanno poi esaminato 5 diversi modelli sperimentali di psicosi schizofrenica e bipolare, costituiti da roditori portatori di mutazioni geniche che inducono un fenotipo cerebrale e comportamentale considerato equivalente a quello delle malattie umane. I livelli di pH del cervello dei gruppi di topi affetti dalle varie forme sperimentali dei disturbi erano sempre inferiori a quelli dei roditori non affetti del gruppo di controllo, e al pH più acido corrispondeva un livello più alto di lattato che non aveva riscontro negli animali sani. Tutti i topi studiati, sia i modelli di psicopatologia sia i ceppi di controllo, erano stati sottoposti alla stessa procedura di eutanasia, pertanto le differenze di pH in questi casi non potevano essere attribuite alla durata del tempo impiegato per giungere a morte.

Questi dati sembrano fornire una convincente evidenza che il legame fra grado di acidità e fisiopatologia cerebrale esista davvero. Diana Kwon ha raccolto, al riguardo, l’opinione di William Regenold, psichiatra docente presso l’Università del Maryland, che ha sottolineato la forte significatività statistica dei dati di Miyakawa e colleghi. Regenold sostiene che lo studio dimostra che l’acidità è propria di questi disturbi psichiatrici, e il principale valore del lavoro consiste nell’aver dimostrato che il basso pH è in sé e per sé parte della fisiopatologia, indipendentemente da ciò che possa averlo determinato[3].

L’obiezione mossa da John Wemmie, un neuroscienziato dell’Università dello Stato dello Iowa, è che, sebbene i risultati del gruppo giapponese siano interessanti e suggestivi, forniscono un’informazione su ciò che è accaduto nel cervello di queste persone e non producono una prova del fatto che i livelli di pH siano strettamente in rapporto con i cambiamenti funzionali che avvengono nel cervello attivo durante la vita quotidiana delle persone e l’espressione dei sintomi da parte di coloro che sono affetti da disturbi di interesse psichiatrico.

Gli studi di neuroimmagine dal vivo su pazienti affetti da schizofrenia, psicosi bipolare e disturbo da attacchi di panico hanno fornito evidenze più dirette a sostegno dell’ipotesi di un ruolo del basso pH in queste condizioni tanto diverse fra loro, e particolarmente se si considera la differenza tra una sintomatologia ansiosa che non altera la personalità e gli stati psicopatologici caratterizzati da deliri, allucinazioni, alterazioni cognitive, perdita di contatto con la realtà e cambiamento della personalità. Impiegando, in casi di persone affette da queste tre categorie di diagnosi psichiatriche la spettroscopia in risonanza magnetica (MRS, da magnetic resonance spectroscopy), che consente di rilevare modificazioni biochimiche in corso nei tessuti esaminati, sono stati trovati livelli più elevati del normale di acido lattico nel cervello.

Per quanto riguarda la schizofrenia e il disturbo bipolare, la condizione stabile di pH cerebrale inferiore alla norma sembra ormai certa, e pochi nella comunità neuroscientifica sarebbero oggi disposti a negare un rapporto con la fisiopatologia; tuttavia, rimane aperta la questione sulla natura dell’acidità quale causa o effetto dei processi che generano la sintomatologia.

Miyakawa propende per la seconda possibilità e ipotizza che l’acidità sia la conseguenza di un’accresciuta attività del cervello in queste due categorie di malattie psichiatriche. Ma - è stato rilevato da alcuni soci inclusa l’autrice di questa “Nota” - se l’aumentata attività è bene conosciuta e documentata nella fase di eccitazione della psicosi bipolare, non si può dire altrettanto per la maggior parte dei casi di schizofrenia. Un’altra ipotesi, accettata da molti, è che la maggiore acidità derivi da alterazioni dei mitocondri, gli organuli citoplasmatici dai quali la cellula dipende per l’energia. William Regenold è tra i sostenitori dell’ipotesi mitocondriale[4]. È stato osservato che le due ipotesi non si escludono a vicenda. Il nostro presidente, Giuseppe Perrella, sostiene che si dovrebbe indagare il funzionamento delle reti encefaliche in questi disturbi, comparandolo con quello normale, per individuare i possibili legami con le alterazioni cellulari che si traducono in modificazioni biochimiche responsabili dell’acidità. Secondo Perrella, è probabile che processi diversi, e dunque ragioni diverse, possano convergere su un meccanismo molecolare che genera acidità.

Un’altra questione in discussione riguarda i possibili meccanismi molecolari innescati dalla riduzione di pH, basati sull’attivazione di sensori di acidità della membrana neuronica, che potrebbero essere alla base dei disturbi cognitivi e comportamentali di schizofrenici e bipolari. Miyakama è un sostenitore di questa possibilità. Al riguardo, John Wemmie ha affermato: “Sappiamo che i recettori [che sono attivati dall’acido] hanno rilevanti effetti sul comportamento negli animali”[5].

Chi scrive - come la maggior parte dei soci della nostra società scientifica - nutre molti dubbi circa questa possibilità, considerando le numerose alterazioni strutturali e molecolari rilevate nella schizofrenia e nelle psicosi bipolari, da tempo documentate e verificate, incluse quelle in base alle quali sono stati realizzati i modelli sperimentali murini delle malattie. Naturalmente non si può escludere che il basso pH, oltre ad essere un possibile effetto dell’alterazione principale, contribuisca alla patogenesi dei sintomi; tuttavia, tale possibilità deve ancora essere accertata e dimostrata.

Gli attuali metodi di studio non consentono ancora di dire una parola definitiva sul ruolo dell’acidità nei disturbi psichici e, in particolare, definire con certezza la contrapposizione tra ruolo scatenante nei disturbi d’ansia e valore di indice disfunzionale, non necessariamente implicato direttamente nella genesi dei sintomi nei disturbi psicotici; pertanto, si attende che il procedere della ricerca proponga nuovi modi per queste verifiche, che potrebbero aprire un nuovo capitolo nello studio delle basi neurobiologiche della psicopatologia.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-16 dicembre 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] “Discussione di BM&L-Italia sull’associazione di bassi livelli di pH ai disturbi mentali”, in Note e Notizie 09-12-17 Notule.

[2] O ciclo di Embden-Meyerhof in cui ogni molecola di glucosio è fosforilata formando degli esteri fosforici che poi sono degradati in due molecole di trioso, dalle quali si forma il piruvato. Si tratta di nozioni elementari, storicamente alla base della biologia moderna: Pasteur già nel 1861aveva ipotizzato che le cellule potessero ricavare energia sia adoperando l’ossigeno sia in anaerobiosi.

[3] Cfr. Diana Kwon, Your Brain on (Actual) Acid. Scientific American 317 (5): 8-10, November 2017.

[4] Cfr. Diana Kwon, op. cit., p. 10.

[5] Cfr. Diana Kwon, op. cit., ibidem.